1964, SEI MINI!
Inizia la guerra in Vietnam, esplode la Pop Art, Martin Luther King riceve il premio Nobel per la pace e Mary Quant inventa la minigonna. A indossarla è Twiggy: prima top model-teen ager (17 anni) ritratta anche dalla neonata macchina Polaroid.
Nata a Londra nel 1934, Mary Quant già dal ’55 aveva aperto nella capitale anglosassone la boutique Bazaar in Kings Road, fondando uno stile giovane, ribelle e democratico che insieme alla Beatlesmania (1965) sarebbe stato un elemento chiave della Swinging London. Del ’66, invece, è la nascita dei cosmetici Mary Quant marchiati con una margherita che anticipa i figli dei fiori.
Per anni Courregés che nel ’64 aveva presentato abiti corti e linee a trapezio rivendicherà il copyright della mini. Ma forse la verità sta in una frase di Mary Quant: “Le vere creatrici della mini sono le ragazze, le stesse che si vedono per la strada”. Fatto sta che in mini faranno costume Florinda Bolkan, la cantante scalza Sandie Shaw e la modella Veruschka, icone di quegli anni.
Dopo il ’64 l’abbigliamento femminile non sarà più lo stesso. Le gonne corte imporranno stivali alti di vernice, nuove calze dette “collant”, e una rivoluzione della biancheria.
In Italia, già dal ’54 La Perla produce biancheria di moda, accompagnando “intimamente” la rivoluzione dell’abbigliamento. Nascono così, la mini guaina e la mini con il reggicalze incorporato. Un neologismo indossato da una modella d’eccezione; la giovanissima e irriconoscibile Oriella Dorella.
Ormai, anche le bambole non vestono più abiti tradizionali: nel 1965 sbarca in Europa Barbie, signorina un po’ Raquel Welch e un po’ Ursula Andress.
Nel ’66 Andy Warhol firma il miniabito Campbell’s Soup, elevando ad arte l’invenzione di Mary Quant.
1967: MINI HOT.
Avviato dalla mini, il processo di liberalizzazione dell’abbigliamento procede rapidissimo. Nel ’66 Yves Saint Laurent lancia il nude look, Paco Rabanne firma i suoi micro abiti in metallo e Rudy Genreich inventa il topless.
Nascono i primi hippies che faranno moda dal ’68 con il “Flower Power”. Si parla di spazio, ci si veste di plastica trasparente: al cinema si vanno a vedere Barbarella e 2001 Odissea nello spazio. Si prepara la conquista della luna che nel ’69 ispirerà il look lunare.
Intanto, il ’67 è ancora mini con gli hot pants, le parrucche artificiali e coloratissime di nylon. A Londra le vende Biba. A Milano fanno irruzione nelle vetrine di Fiorucci: il nuovo, folle negozio aperto dal 31 maggio del ’67, destinato a diventare un faro nella diffusione della mini. Ma soprattutto nella liberalizzazione dell’abbigliamento e dei comportamenti.
Inaugurato con una grande festa di strada alla quale Adriano Celentano arriva con un’auto cabriolet, il punto vendita diventa subito “luogo del luogo – non – comune”. Tra sandali, zoccoli, accessori metallizzati e mini si vendono curiosità come il Pill Plan di Clino Castelli: bracciale per ricordare i giorni della settimana in cui prendere la pillola.
L’esplosione del ’68 coi movimenti di liberazione della donna, Jimmy Hendrix, Woodstock e il film Trash di Andy Warhol forniscono il carburante ideale per spingere al massimo la “scoperta” di Fiorucci del corpo femminile.”Ci vuole poco, per essere alla moda”, dichiara lo stilista. E con questo credo Fiorucci si prepara a lanciare il tanga e il monokini.
Nel frattempo, persino l’elegantissima Jackie O’ nel ’68 si è sposata in mini di pizzo firmata Valentino.
1974/79: NEW (MINI) WAVE.
Dopo lo scoppio della guerra del Kippur, si scatena la crisi petrolifera internazionale. Muore Pablo Picasso.
A 10 anni esatti dalla nascita della minigonna, il film Shampoo, con un giovane Warren Beatty, rilancia la minigonna. Ma in un mondo alle prese con la questione energetica, dunque pronto all’impegno ecologico, si preferisce soprattutto il più “responsabile” abbigliamento usato.
In controtendenza, si alza parallelamente la febbre delle grandi firme: Ray Ban per gli occhiali, Gucci per i foulard e Vuitton per la pelletteria. Ma un’altra “febbre” si prepara a stravolgere i costumi. E’ quella “del sabato sera” (’78): film con John Travolta in pantaloni a zampa d’elefante e “in pista” sulle canzoni dei Bee Gees (il loro album/colonna sonora Saturday Night Fever venderà 40 milioni di copie). La pellicola celebra sul grande schermo il boom delle discoteche e delle notti con luci coloratissime come il film di George Lucas, Guerre Stellari. A New York si inaugura lo Studio 54, con una sfilata di Fiorucci. Nel ’77 la morte di Elvis Presley suona come un segno ulteriore della fine di un’epoca musicale. Ma se dalla Grande Mela si riversa nel mondo un’ondata di disco music che con Donna Summer e la discomania sublima l’eccessivo impegno degli Anni ’70, a Londra cova già la ribellione a questo stile: il punk (“legno marcio”) di Vivienne Westwood e Malcom McLaren.
Tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80 sarà proprio questa corrente ad alimentare una new wave in minigonna di pelle nera alla quale darà voce e corpo Deborah Harris dei Blondie. Le pettinature tornano a farsi rigonfie sulle teste di complessi come i B’52. Per gli uomini è tempo di revival neo Mods.
Gli stilisti del pret-à-porter italiano nati alla metà degli Anni ’70 portano in passerella questo fenomeno della strada.
Claude Montana e Thierry Mugler lanciano a Parigi una nuova silhouette con spalle larghe e mini vertiginose.
Anche nell’arte s’impongono nuove “linee”: i graffiti di Keith Haring e di Jean Michel Basquiat. Fiorucci produce il film Downtown 81: eccezionale documentario in cui l’emergente Basquiat interpreta se stesso in una notte tra i locali new wave di Soho. Tra le comparse della pellicola smarrita e ritrovata nel 2000, Blondie e Kid Creole.
Nel 1983 con il suo primo LP, Madonna, esplode il ciclone Ciccone con un look post punk creato nel negozio americano di Fiorucci. Lo stesso in cui lavora, come magazziniere, il fratello della star. Con la voce di Like a Virgin la lingerie esce allo scoperto e nel 1986 da indumento privato diventa accessorio da esibire in pubblico. Inizia così la più grande rivoluzione della moda che esploderà negli Anni ’90.
In un made in Italy griffato in piena ascesa, Krizia lancia i mini pants e il reggiseno gag con due conchiglie al posto delle coppe. Mentre, Versace scommette tutto sulla minigonna, invitando le donne a “buttar via tutte le palandrane per stare al passo coi nuovi tempi: dinamici”.
1987: MINICRINOLINA NEO BAROCCA.
Inizia l’Intifada. Si preparano il conflitto in Kossovo e il movimento democratico di protesta in Cina.
Christian Lacroix, oscar della moda a New York, lancia la minicrinolina. A Roma ritorna Capucci. L’alta moda è di nuovo alla ribalta. L’autunno caldo è tutto per le minigonne in stile neo barocco con calze ricamatissime e firmatissime. L’importante è non essere normali.
Anche perché, la televisione italiana dilaga, con modelli quali Marisa Laurito, Carmen Russo e Edvige Fenech. Nel mondo della moda esplode il fenomeno Moschino che interpreterà la mini nelle versioni più stravaganti ed eccentriche: dal modello costruito con le zip al patchwork di giarrettiere.
Nel design il boom delle linee curve sancisce il trionfo di Philippe Starck.
1988: MINI JOGGING.
Si avvertono le prime avvisaglie della Glasnost. Stati Uniti e Russia decidono il disarmo di missili nucleari a medio raggio. Il film Yuppies mette in ginocchio il mito di Wall Street. L’anno successivo crollerà il muro di Berlino.
Al massimalismo e all’edonismo reganiano coniato dal lookologo Roberto D’Agostino si contrappongono il minimalismo di Romeo Gigli e la spiritualità della nascente New Age.
In prospettiva dell’Europa Unita, lo stile si fa più internazionale, dunque etnico. Sotto le giacche dei tailleur irrompono i micro calzoncini elastici con cui viene fotografata Madonna, mentre fa jogging. Ancora una volta, la mini segna il passo di una rivoluzione: l’introduzione dello sportswear e dell’abbigliamento da tempo libero nel look da città.
1990.
L’Iraq invade il Kuwait, ponendo le basi per la Guerra del Golfo. Riprende la persecuzione dei Curdi in Turchia. La Germania si riunifica, lo stato jugoslavo si fraziona e le frontiere dell’Albania si aprono. Gorbaciov riceve il premio Nobel per la pace. Viene scoperto il buco nell’ozono.
Gli Anni ’90 si aprono con un occhio al nuovo millennio. Le vecchie categorie verticali crollano per rimescolarsi in nuovi codici trasversali. I figli dei fiori mettono in discussione le ideologie dei padri: all’ecologia contrappongono la tecnologia ma soprattutto la nuova cultura techno. Mentre, al reale preferiscono il virtuale dei computer che si diffondono su larga scala.
Dalla strada per la strada, nel ’94 nasce la D&G: linea giovane di Dolce e Gabbana comparsi nella scena della moda alla fine degli Anni ’80 ma già noti in tutto il mondo. Anche per la loro amicizia con Madonna.
Nel frattempo anche Versace ha lanciato la sua linea giovane Versus, rilanciando la mini. A indossarla in una campagna memorabile è Carla Bruni. Siamo nell’epoca delle top model. Linda, Cindy, Christy, Naomi, Claudia, alle quali si affiancano Stephanie Seymour e Kristen McMenamy protagoniste in minigonna optical delle campagne di Cesare Paciotti.
2002.
A un anno dal crollo delle Torri Gemelle, nel pieno di una crisi politico-mondiale senza precedenti, gli stilisti più all’avanguardia, Dolce e Gabbana Gucci e Prada, per la primavera estate 2003 rilanciano la minigonna. Gattinoni fa sfilare Twiggy a Milano Moda Donna. E Alberta Ferretti scopre la nuova Twiggy, Sarah Calogero, facendone la testimonial della linea giovane Philosophy.
E ancora: Gaetano Navarra viene selezionato da Alta Roma e invitato all’alta moda di Roma come emergente di punta per le sue micro gonne incatenate.
In un mondo dove spazio e tempo sono i nuovi beni di lusso, “mini è bello” in tutti i sensi: dalla tecnologia con ritrovati sempre più micro all’automobilismo che scopre la dimensione della city car.
2003.
Gli Stati Uniti fanno guerra all’Iraq. Gli stilisti di moda per giusta risposta fanno della minigonna il vessillo della pace. Giorgio Armani fa della minigonna la bandiera del nuovo stile autunno-inverno 2003/2004. Mentre Roberto Cavalli nella linea giovane Just Cavalli lancia una serie di minigonne pacifiste al motto di “No war, more wear”. La minigonna è di nuovo portatrice di libertà.