“In maglia è meglio!” Questa, all’inizio del nuovo millennio, le constatazioni dei pionieri dello sport moderno alla continua ricerca di un abbigliamento che lasci liberi i movimenti del corpo senza contraddire le regole severe del decoro vittoriano, diametralmente opposte a quelle della Grecia classica, in cui gli atleti si vestivano semplicemente di un velo d’olio. L’ideale per gli sportivi è un tessuto che per la sua elasticità possa seguire docilmente i movimenti bruschi degli arti senza scomporsi molto. Questa specie di “seconda pelle” dopo anni e anni di ricerca, è stata individuata nel tessuto a maglia. Il primo sport ad adottare come divisa una maglietta a maniche corte fu il polo, praticato dagli ufficiali britannici di guarnigione in India. Nonostante che a correre fossero i cavalli, il clima torrido imponeva ai cavalieri d’indossare capi per quanto possibile leggeri e capaci di assorbire al massimo la traspirazione.
Di qui la scelta di tessuti a maglia piquè. Uniche concessioni alla moda formale del tempo il colletto e l’allacciatura con tre bottoni, che dichiaravano la parentela del nuovo indumento con la camicia e di conseuenza la sua rispettabilità. Nasceva così sui “green” indiani un modello destinato ad entrare nel mito dell’abbigliamento. La bontà dl prodotto fu testimoniata dalla rapida adozione anche da parte di altri sport, con opportuni adattamenti. E’ il caso del rugby che, giocato prevalentemente in climi umidi e freddi, adottò polo a maniche lunghe e tessute con filate di lana. Poichè d’altra parte si trattava di uno sport in cui gli atleti vengono continuamente alle mani, il colletto e la bottoniera furono realizzati in solido tessuto trama e ordito rinforzato, in modo da evitare per quanto possibile strappi e lacerazioni per prese e colpi troppo decisi….