LE BOLLE DI GILDA A MILANO VENDE MODA

C’è uno spazio a Milano Vende Moda, fiera del pret-à-porter milanese, riservato alle proposte giovani e sperimentali. O-Zone, non solo moda, ma anche arte, editoria.
Siamo in fiera e giriamo fino allo sfinimento. Poi, qualcosa attira la nostra attenzione. Non capiamo bene di cosa si tratta e ci avviciniamo. In un piccolo stand d’angolo, strani abiti dalla forma indefinita sono appesi qua e là, come sospesi nello spazio, circondati da foto di figure in movimento. Su un monitor le immagini di un video con una pazza che corre tra gli alberi, cade, fa capriole, appare e scompare.
Quella che si presume esserne la creativa è lì. E’ giovanissima e ci sembra un po’ annoiata. Prendiamo una scheda illustrativa del progetto e ci ripromettiamo di contattarla successivamente. Lo facciamo.
Si chiama Gilda Scaglioni, ha 25 anni, è modenese. Si è appena laureata all’ISIA di Firenze (Istituto Superiore Industrie Artistiche). Quello esposto in fiera è il suo progetto di tesi. Le Bubbles. C’incontriamo, è malatissima, ma non abbiamo pietà e la tempestiamo di domande!

Com’è andata a Milano Vende Moda?

Beh, non era proprio lo spazio ideale per esporre un lavoro come il mio. Ma è stata comunque una bella esperienza, una vetrina per farmi conoscere ed entrare in contatto con studi ed altri creativi.
E’ grazie a MVM se è nato il progetto di illustrare un filmbook che verrà esposto nello stand della Diesel, al prossimo Salone del Mobile di Milano.

Sicuramente il tuo stand si faceva notare, anche se piccolo e relegato in un angolo!

Mi piace creare attorno ai miei progetti un habitat visivo forte, che vada oltre il lavoro in sé. Una bolla in cui farli vivere e muovere. Le Bubbles, ad esempio non sono solo abiti, ma anche video e foto. Un progetto di comunicazione che abbraccia diverse forme espressive.

Le Bubbles, appunto. Non sono vestiti. Non sono oggetti di design. Cosa sono?

Sono frutto dell’incontro di diverse discipline, dall’arte al design, al teatro d’avanguardia. Un abito non abito! Qualcosa di estremo, al di fuori di ogni canone estetico noto, praticamente importabile.
Diciamo che è un guscio, una superficie sintetica chiusa e avvolgente che si trasforma in base al movimento del corpo. Una struttura a nido d’ape, si gonfia col piegarsi di gambe e braccia, appare e scompare attraverso tagli sulla superficie dell’involucro, rendendo l’abito un oggetto vivo, palpitante.

Sembra complicato da realizzare. Come ci sei riuscita?

Ho fatto prove su prove, impazzendo dietro cartamodelli e la macchina da cucire di mia madre! Tutto è nato dall’esigenza di creare una struttura mobile che mettesse in relazione il corpo e lo spazio. Il resto è stato casuale. Mi sono venute in mente le decorazioni di carta, sai quelle cinesi, come i festoni o le lanterne? Ne ho studiato il meccanismo e poi l’ho adattato all’involucro esterno in ecopelle. L’effetto finale voleva essere un gioco di contrasti tra colori e materiali, per enfatizzare l’effetto sorpresa del nido d’ape.

Abiti importabili….Come concetto è rivoluzionario, ma non credo che avrai molti clienti!

Sono una designer, non una stilista! Come progetto di tesi mi interessava più il concept che un prodotto rifinito. E poi per me vestiti, oggetti o video è lo stesso. Mi piace lavorare su progetti in bilico tra le diverse forme espressive, passare dall’una all’altra mantenendo sempre un certo distacco da ognuna, per non esserne condizionata. Non mi piacciono le etichette, le restrizioni!

Ok, niente etichette! Ma allora qual è il tuo marchio di fabbrica? Il filo conduttore dei tuoi lavori?

Boh? Forse la mia visione un po’ infantile della vita. Quella è una cosa che mi porto dietro da sempre. Sai, quell’atteggiamento curioso e un po’ malizioso che è tipico dei bambini. Un progetto può essere più o meno strutturato, ma c’è sempre quella dimensione onirica, surreale.
Il mio prossimo lavoro sarà proprio sui vestiti per bambini, quelli di una volta. Ovviamente trasformati, dilatati, mantenendone le proporzioni infantili, come in “Alice nel paese delle meraviglie”. In questo senso aver scoperto un’artista come Annette Messager è stato importante, per quella sua visione ingenua e dissacrante al tempo stesso così simile alla mia.

Sei giovane, ti sei appena laureata e probabilmente non vuoi farti troppe domande sul futuro. Ma come immagini la tua vita e la tua carriera nei prossimi….cinque, dieci anni?

No, non la immagino. Vivo molto alla giornata, non programmo nulla. Voglio portare avanti i miei progetti in modo libero, preoccuparmi solo dell’aspetto creativo. E’ vero, creo prodotti, perché quello sono, e prima o poi dovrò fare i conti anche con l’aspetto più commerciale del mio lavoro. Ma al momento la cosa sembra funzionare così. Non so nemmeno se Milano sia la città più giusta dove fermarsi. Forse Torino o meglio ancora Parigi, chissà….

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