Scenario di guerra da Alexsandro Palombo, passerella di legno grezzo e rete metallica da campo di concentramento sullo sfondo. Ovunque icone religiose. Ancora una volta filo conduttore l’incontro-scontro tra Medioriente e Occidente, tra pensiero cristiano ed islamico. Un canto malinconico riecheggia nell’aria, diventando improvvisamente deciso e ritmico a scandire le fasi della sfilata.
I must sono quelli di sempre, tradizione e innovazione, sperimentazione estrema di forma e materia, il sud d’Italia come ponte ideale tra culture spesso in conflitto, eppure così simili.
Le modelle sfilano con un passamontagna di lana da kamikaze palestinese calzato in testa, i colori e i simboli militari prendono forma nel grigio verde di gonne, giacche, pantaloni, spesso sdrammatizzati con applicazioni di cristalli colorati.
La materia si disfa, il tessuto si lacera, le forme perdono definizione per dare il via ad un’opera di ricostruzione sorprendente e del tutto nuova, fatta di patchwork, innesti, intrecci manuali.
Lana, garza, kefiha, cotone, diventano brandelli annodati a rete, per gonne, mantelle, pantaloni, frange per vestiti di tutte le lunghezze, inserti da riassemblare all’insegna di accostamenti materici e cromatici arditi.
La kefiha, tessuto feticcio dello stilista salentino, così come i tipici putti fileé salentini, prendono mille forme diverse, ora protagonisti assoluti, ora semplici inserti.
Sacro e profano si rincorrono per tutta la sfilata, nel maglione con impresso il volto di Cristo, la lunga tunica nera da prete, o la giacca mimetica con piccoli crocifissi appesi.
Non mancano capi di taglio più tradizionale, ma con quell’aspetto vissuto che caratterizza tutta la collezione, linee vagamente anni ’70, fantasie scolorite e cuciture a vista.
La materia è corposa, la ricerca stilistica estrema, il background culturale impegnativo, per una collezione ricca e suggestiva come sempre.