Ines Valentinitsch

Scimmie arancioni, bamboline woodoo, overdose di colori, fantasie, forme inattese.
Uno stile irriverente e scanzonato che nasce dalla strada, dalle sue mille contaminazioni etniche e culturali, dove i capi tradizionali vengono reinventati secondo formule nuove e tra sovrapposizioni, lacerazioni, asimmetrie, la moda per come la conosciamo perde ogni certezza.
Ines Valentinitsch, enfant terrible della moda italiana, giovane, bella, trasgressiva, sperimentale, pittrice mancata, stilista in forte ascesa.
Le sue sfilate sono spettacoli multimediali con installazioni video alle pareti e forti sollecitazioni visive, sonore, stilistiche.
Del suo lavoro dice – Voglio che la gente uscendo dalle mie sfilate, sia divertita e sorpresa dai mille dettagli che caratterizzano il mio lavoro.-

Come definiresti il tuo stile?

Direi giocoso, divertente, pensato per una donna che non si prende troppo sul serio, che gioca con la moda senza esserne schiava.
Uno stile ironico, pieno di stampe colorate e fumetti, ma soprattutto pratico, portabilissimo, per tutti i giorni. Anche i capi più sensuali non sono mai troppo scollacciati, è una cosa che non mi interessa.

Facciamo un passo indietro, come nasce Ines Valentinitsch stilista?

In realtà volevo fare la pittrice, ma i miei genitori mi hanno sempre scoraggiato – non si vive facendo l’artista – mi dicevano e così ho ripiegato sulla moda.
Ho frequentato la University of Applied Arts di Vienna, dove ho avuto la fortuna di avere tra gli insegnanti stilisti del calibro di Marc Bohan ed Helmut Lang, la tradizione sartoriale e l’innovazione stilistica, dai quali ho imparato molto.
Quando Lang è partito per New York e la moda austriaca ha perso il suo unico vero protagonista, ho deciso di venire a Milano.

Come è andata?

Per circa un anno ho collaborato con uno studio stile, facendo per lo più cose commerciali, tanto che a un certo punto ho preferito tornare a studiare e ho frequentato un master alla Domus Accademy.
Da lì una serie di consulenze creative, ma pagavano poco o nulla, mi sentivo sfruttata, incazzata e da un giorno all’altro ho deciso che volevo una linea tutta mia.

E come ci sei riuscita?

Ho venduto la macchia, il mio pianoforte, ho comprato una taglia e cuci, trovato una sarta vicino a Lambrate e abbiamo cominciato a lavorare, noi due, sole. Di lì a qualche mese sfilavo per Milano Collezioni.
I capi erano particolarissimi, non avevano chiusure lampo perché le sapevo mettere e il tessuto girava attorno al corpo, in modo libero, come fa Martin Margela.

Non dev’essere stato facile partecipare alle sfilate milanesi, normalmente off limits per i nuovi designers?

In realtà è stato più semplice del previsto, ho mandato il curriculum con alcune foto dei miei lavori, la domanda di partecipazione e dopo un qualche giorno ho avuto risposta positiva dalla Camera della Moda.

Qual’è il tuo processo creativo?

Appena finita una sfilata mi metto subito al lavoro per la collezione successiva, è un processo automatico, parto da un tema e lo sviluppo strada facendo.

Sei condizionata dal mercato?

No, la fortuna di essere una piccola griffe è quella di poter creare liberamente, senza condizionamenti esterni.
La nostra è una clientela selezionata e molto particolare, conosce il nostro prodotto, lo ama e lo compra in ogni caso.

Le tue origini austriache, la tua infanzia, ti influenzano?

Sul lavoro sono molto rigorosa, precisa, ci tengo ad essere puntuale nelle scadenze e se ci sono disguidi o ritardi collaboro in prima persona affinchè tutto funzioni alla perfezione.
Da un punto di vista stilistico, rischio molto più di quanto si faccia in Italia, sperimento nuove soluzioni, abbinamenti, colori, tessuti…

Cioè..

All’estero c’è tutta un’altra mentalità nel vestirsi, molta più libertà, la moda viene interpretata, reinventata, l’italiano medio invece stà ancora molto attento ad abbinare gli accessori, i colori..
I negozi ad esempio, in Italia sono tutti uguali, in Francia, in Inghilterra c’è molta più creatività nell’esporre un prodotto, io interpreto questa continua ricerca di novità.

Qualche dritta sull’ultima collezione..

Il tema è Atlantide, l’atmosfera quella delle isole greche, con i colori del mare, i coralli, i mosaici, i pesci e tonalità soft, molto beige, rosa chiaro, panna, bianco e qualche incursione di turchese.

Intuisco che la recente maternità abbia ammorbidito il tuo stile

Sì, senz’altro, gli abiti di quest’ultima collezione sono molto più femminili, le forme fluide, i tessuti morbidi, avvolgenti come le tuniche dell’antica Grecia, ci sarà molta seta, tulle, applicazioni di lana cotta.
I tagli, le asimmetrie che hanno caratterizzato le scorse collezioni scompaiono quasi del tutto.

Progetti futuri…

Una seconda linea Ines Valentinitsch e la produzione di una nuova linea di scarpe e di occhiali da sole, che saranno presto in commercio.

Cosa ne pensi di Milano, come la vivi?

Bene, io amo Milano, mi piace molto perché è veloce, dinamica, se vuoi anche stressante ma è il tipo di energia di cui ho bisogno per lavorare.
Da un punto di vista professionale ne apprezzo il rigore e con un’ora di macchina posso raggiungere tranquillamente il mare, la montagna, i laghi…è perfetto!

E di questo difficile momento del settore moda?

Quando si attraversa un momento economico sfavorevole, il prodotto di lusso vende molto di più.
La gente si affida alla griffe, al marchio conosciuto, infatti noi che puntavamo al mercato giapponese abbiamo trovato qualche difficoltà.

Ne hai risentito?

Direi di no, la nostra è una piccola struttura, pochi dipendenti e costi contenuti, dal momento che tutta la produzione viene fatta esternamente.
Anche questo nuovo spazio, nel quale ci siamo trasferiti recentemente, non ha niente a che vedere con i lussuosissimi showroom di tanti stilisti.

Sei soddisfatta del tuo lavoro?

Sì, anche perché ho saputo creare attorno a me un gruppo di lavoro molto affiatato, amici più che semplici collaboratori, gente con cui condivido molto del mio tempo anche al di fuori del contesto lavorativo. Questo è importante.

La pittura, l’hai abbandonata definitivamente?

Sì, da quando mi occupo di moda non ho più fatto niente, non ne ho proprio il tempo, il lavoro di stilista mi assorbe completamente.
In passato l’ho fatta qualche mostra e con un certo successo, mi ricordo di aver venduto diversi quadri ma poi il ricavato lo reinvestivo nelle sfilate, la moda era la mia nuova realtà.
Mezz’ora scarsa d’intervista per un’Ines Valentinitsch come non te l’aspetti. Pacata, gentile senza essere cerimoniosa, così diversa dalla stravaganza di certe sue proposte.
Sicuramente un’anomalia nel panorama della moda italiana, con il suo approccio fresco e diretto ad un mondo che troppo spesso confonde creatività con superficialità.
Protagonista di una moda accessibile, divertente, anticonformista, rappresenta una nuova generazione di stilisti non ancora contaminati dal mercato, risorsa fondamentale di un sistema sempre più appannato e in crisi d’idee.

Articoli correlati

Leave a Comment