La silver factory del ventunesimo secolo

CHIUDETE GLI OCCHI: immaginate di essere a New York nei favolosi anni ’70, gli anni dello STUDIO 54, della POP ART e di trovarvi durante una dei tanti happening organizzati nella SILVER FACTORY di Warhol, luogo d’incontro del jet set americano, studio polifunzionale in cui si allestivano mostre, concerti, set cinematografici e feste, tutto rivestito da fogli d’argento, luci stroboscopiche e musica di sottofondo.APRITE GLI OCCHI: siete in una stanza, pareti ricoperte da fogli specchiati, musica ambient in sottofondo, effetto Factory: non siete a New York, ma nell’aula F dell’Auditorium di Roma, alla performance di Annalisa Caruso.
Qua e là, in piedi o sedute, dentro piscinette di plastica gonfiabili, rese colme da palline multicolore e strisce di cellophane, si ergono modelle, rese grottesche dai capelli cotonati e impiastricciati da macchie di vernici colorate e dal trucco stile bambole giapponesi di porcellana. Come automi, compiono azioni meccaniche, ripetitive: c’è chi si pettina con spazzole di plastica, chi si stira il vestito indossato, chi telefona con un apparecchio giocattolo, chi fa le bolle di sapone, il tutto per diventare enormi bambole viventi, donne feticcio che, come nei film di Warhol, compiono azioni ripetitive e prive della logica imperante, solo per dar su i nervi agli spettatori che le gironzolano attorno. E che dire degli abiti, splendide realizzazioni, su sfondi bianchi e neri, delle serigrafie che hanno reso famoso Warhol: abiti da sera e gonne, in tessuti sintetici, ricoperti dalle varie tipologie serigrafiche della diva della pop art, Marilyn; T-shirt e sottovesti bianche, incredibilmente giovanili, abbellite dalla lattina di zuppa più famosa del secolo, la Campbell’s che risalta sullo sfondo realizzato come una pagina di giornale, in cui tra le varie colonne compaiono gli occhi della divina Monroe; macabre croci rosse, ricamate su gonne nere, gonfiate da vari strati di veli e chiffon, rese ironiche dalle immagini di Elvis usato come fantasia di sottofondo: il tutto in onore al trionfo della ripetizione, della massificazione e della plastica, in perfetto stile Pop. E chissà cosa avrebbe detto Warhol di questa collezione, ma una cosa è certa: questi abiti rappresentano uno stile a metà strada tra il prete a porter e lo Street style, adatto a tutte coloro che, più o meno giovani, desiderano sentirsi tali e abbellire il loro “museo” corporeo con delle creazioni stravaganti, rese più moderne dalle opere del maestro della modernità.

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