Alexandro Palombo

Installazioni video alle pareti bombardano la platea con immagini di guerra, politici, attentatori kamikaze, vittime e gente disperata.
Sulla passerella il filo spinato imbriglia giochi di bambino e le modelle sfilano con il viso segnato da un trucco pesante, quasi tribale e in parte sbavato.
Sono le lacrime e il sangue di una terra tormentata e bellissima, crocevia di culture e fulcro di storia.
La tradizione salentina e meridionale tanto cara al giovane stilista, viene estesa idealmente al mediterraneo e al medioriente in particolare.
Ed è ancora una volta la materia grezza, le fibre, la corposità, gli strati, le lavorazioni e le lacerazioni, il punto nevralgico di una collezione che gioca pesantemente sui contrasti, l’arcaico e il glamuor, l’oriente e l’occidente, il semplice e l’elaborato, il sacro e il profano.
Elementi tardizionali vengono reinventati e mescolati, così i kefiah palestinesi con un gioco di nodi diventano completi, mantelle, gonne, top, talvolta impreziositi con cristalli e pizzi.
Il cotone annodato, gli sfilati salentini, la fettucia, la passamaneria, la maglieria ai ferri e quella sfrangiata intrecciata manualmente, l’uncinetto, il pizzo, il tutto lavorato artigianalmente e messo assieme secondo formule nuove.
Non stupisce dunque il putto ricamato all’uncinetto sulla mantella dal taglio asimmetrico, o un classicissimo taillour dare il cambio in passerella ad una lunga gonna fatta da mille intrecci di cotone e pezze di stoffa sovrapposta.
Il cotone intrecciato a trama larga diventa una rete dalla forme più svariate, ora top, ora mantella, vestito o gonna, ricco di frange e applicazioni.
Una lunga gonna bianca con scritte inneggianti alla pace chiude la sfilata tra gli applausi.
Tanti gli spunti stilistici per una collezione fatta da mille contaminazioni e sperimentazioni ardite, che confermano in pieno il talento e l’originalità dello stilista salentino.

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