INTERVISTA AD ANNALISA CARUSO

In un caldo pomeriggio romano, l’artista “warholiana” Annalisa Caruso, ci ha aperto le porte della sua “factory”-show room, come la migliore delle padroni di casa: con un grande sorriso ci ha accolto all’uscio e ci ha fatto accomodare nel suo studio, reso luminoso da una gigantesca finestra che dà su di un cortile interno e “arredato” dalle sue opere della collezione invernale. Con l’umiltà e la semplicità che si addice ai più grandi uomini e donne di cultura, ci ha spiegato la sua filosofia creativa e creatrice, sottoponendosi alle nostre domande. E il contenuto di questo colloquio è riportato qui di seguito: a voi il frutto di questa esperienza artistica.

1. Secondo te, quanto ancora oggi si risente dell’influenza della Pop art sulla moda in generale e in quale stilista in particolare?

Beh, diversi aspetti della Pop art vengono saccheggiati continuamente, dallo stilista al design più acclamato, da Galliano a Castelbajack con le sue collezioni “no logo” o “free logo” a tutti quegli stilisti che riprendono e scopiazzano Andy Warhol o Roy Lichtenstein. Quindi la Pop art è abbastanza saccheggiata. Io ho creato questa collezione su Andy Warhol che è la seconda di tre, la prima estiva, precedente, questa invernale e la terza, estiva, che sarà presentata il 5 settembre a Barcellona. Penso che allestirò la performance suddividendola in tre stanze, con le pareti tappezzate di specchi.

Simile alla performance dell’Altaroma?

Qualcosa di simile. Comunque, a proposito della domanda che mi hai fatto prima, ritengo che la Pop art sia presente nelle varie collezioni di moda. La Pop è un tema iperattuale, perché Pop significa Popolare, quindi è di massa, rappresenta ciò che è fruibile da tutti, qualcosa che non cesserà mai di essere di moda.

2. Perché hai scelto di rappresentare la Pop art di Andy Warhol nelle tue collezioni?

C’è da fare una piccola digressione: non sono stata io a scegliere
Andy Warhol, ma è stato lui a scegliere me (risata scherzosa). Faccio questo lavoro da un po’ di tempo e nelle mie collezioni passate, lavorando per varie ditte, ho sempre inserito riferimenti
artistici, perché mi piace ispirarmi, per esempio agli espressionisti astratti americani, a Matisse, ad artisti contemporanei, inserendo, in questo modo, citazioni artistiche, che magari colgo solo io e pochi altri, ma che tuttavia sono presenti. Traggo molti spunti da ogni sfaccettatura del mondo dell’arte: ho creato degli abiti che s’ispiravano ad un artista brasiliano, che ha esposto alla biennale di quest’anno o a delle foto che ho preso al Whitney museum di New York. Mi piace sempre mischiare arte e moda.

3. Quindi, secondo te, l’arte influenza la moda e viceversa?

Assolutamente sì, certo. Poi, dipende dal pubblico: c’è chi ne capisce qualcosa e riesce a cogliere gli aspetti artistici dell’abito, le citazioni, mentre chi non conosce l’arte, può apprezzare il lato estetico dell’abito, senza carpirne lo spunto artistico di fondo. E questo vale anche per l’arte istituzionale.

4. Secondo te, se Warhol fosse ancora vivo avrebbe apprezzato le tue creazioni?

Non lo so, ma me lo chiedo continuamente. Poi Warhol era cattivissimo con le donne: non c’è stato un artista donna uscita dalla Factory. Gravitavano intorno a lui queste figure ambigue, donne non donne, travestiti, uomini dalla sessualità ambigua. E ogni tanto penso: se dovesse esistere un aldilà, chissà cosa penserà di me?

Magari si sta rigirando nella tomba…

Sì e magari mi sta lanciando qualche maledizione! Era incredibilmente cattivo, quando si trattava d’arte, un artista ipercritico.

5. Continuerai ad ispirarti a Warhol per le tue prossime creazioni?

Per ora ho un contratto di tre anni con la fondazione, quindi continuerò a produrre la linea da donna che si rifarà alle opere di Warhol: da quest’anno produrrò anche le calzature da donna e dalla prossima stagione, realizzerò anche una linea da uomo.

6. E’ stato difficile ottenere il permesso per usare le opere di Warhol?

Non è facile. Ho dovuto passare una selezione. La “Andy Warhol foundation for the visual Arts” sceglie, magari il tuo progetto ma poi lo devi produrre le tue creazioni secondo le loro condizioni.

7. Qual’è la funzione della “Andy Warhol foundation for the visual Arts”?

La fondazione aiuta tutte le arti “applicate”, tutti gli “artisti” che ruotano intorno alla filosofia della Factory, che ora non esiste più. E’ una fondazione che si occupa anche della ristrutturazione delle opere d’arte non solo di Warhol ma anche di quei artisti che lo frequentavano, come quelle di Keith Haring. Esistono anche dei magazzini, gestiti dalla fondazione, dove sono ancora custodite delle opere di Warhol, gli ultimi lavori che fece con Basquiat e Clement prima di morire, tra il 1985 e il 1987. L’intento principale della Fondazione è di dare le licenze ai vari settori merciologici che riproducono le opere di Andy.
Io ho appunto la licenza triennale e ho anche in progetto di creare una linea di accessori.

8. Tornando alla tua performance dell’Altaroma, perché hai truccato le tue modelle come se fossero delle enormi bambole?Il significato è stato colto?

Il mio intento era quello di rappresentare la donna-oggetto, mercificata, come una bambola dalla nostra società. E il significato era abbastanza palese, in quanto la cultura Pop è fruibile da tutti: magari gli “ignoranti” ne colgono solo il lato esteriore e non il lato di denuncia che esprime.In ogni modo questo è il Pop, il mercificato, è Warhol.

9. C’è stato un riscontro positivo da parte di pubblico e di critica alla tua collezione?

Sì, devo dire di essere molto contenta.

10. Quando e dove si possono trovare le tue creazioni?

Qui, nel mio show room, si trovano tutte le collezioni. A Roma ci sono 20 punti vendita e produco 40 campionari per tutto il mondo. In ogni modo la fetta del mercato italiano rappresenta una minima parte delle mie vendite. Vendo tantissimo in Francia e in Spagna, mentre l’America è la nazione dove stranamente vendo poco. Forse perché gli americani non amavano molto Warhol, in fondo, lo vedevano come il cecoslovacco immigrato che, con le sue opere, andava a mettere il dito nella piaga dei difetti americani e quindi continuano ad avere questa reticenza anche nei confronti delle sue opere.Comunque Andy Warhol, è poco conosciuto non solo dagli Americani; la gente lo riconosce solo se associato alle sue Opere più famose, la Campbell’s Soup, Marilyn…Già è tanto se riescono ad associarlo alle sue creazioni: dubito che la portiera del mio palazzo sappia chi sia. Warhol è un artista che deve essere riscoperto, cerchiamo di non dimenticarlo.

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