“Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi mentre guardiamo Genova” è il celebre ritornello di una vecchia canzone di Paolo Conte; un’espressione di meraviglia, che non si può fare a meno di provare nel pensare al glorioso passato del capoluogo ligure. Pensando alla città di Genova, chi si è mai soffermato sull’importanza che essa ha rivestito nell’evoluzione della storia e dei costumi dell’età moderna? Forse in pochi: da Genova è partito, con il suo bagaglio di entusiasmo e con tanta curiosità, Cristoforo Colombo alla scoperta di nuovi mondi; ma è a Genova che intorno al 1500 nasce la storia del tessuto che più di ogni altro ha accompagnato l’evoluzione dei costumi: il jeans. Secondo l’autorevole Oxford English Dictionary con il nome “blue de Genes” (da qui: blue jeans) si indicava un particolare tipo di telone di colore blu utilizzato sulle navi per vele e per coprire le merci. Questo particolare tessuto, particolarmente resistente alle intemperie e quindi adatto ai lunghi viaggi dei marinai liguri, veniva fabbricato nella città francese di Nimes, da qui la parola denim (De Nimes). Lo spirito da viaggiatori che ha sempre animato i marinai di Genova, ha permesso alla fine dell’ottocento, al nuovo tessuto di sbarcare nel nuovo continente. E’ proprio in america che il tessuto “jeans” diventa sinonimo di pantalone; attraverso degli appositi telai la produzione diventa di tipo semi industriale. La zona degli Stati Uniti dove si sviluppa maggiormente la produzione del nuovo tessuto è l’ovest dove i cercatori d’oro, i minatori e gli operai che costruiscono le ferrovie necessitano di indumenti decisamente robusti e resistenti. Da quel momento il jeans ha presenziato a tutte le fasi più concitate della storia moderna: nel 1920 il jeans diventa il simbolo dell’abbigliamento western; nel 1930 il jeans diventa il simbolo del tempo libero; nel 1950 la sua storia viene associata a quella del Rock’n’Roll, il jeans conquista il mondo dei giovani e diventa un simbolo di contro cultura, di contestazione e diventa una divisa per gli aderenti al movimento dei diritti civili; tra il 1960 e il 1970 diventa il simbolo della contestazione del ’68, icona del mondo Hippie: si diffondono i primi jeans a zampa di elefante, sfrangiati e dipinti. Sono questi gli anni della crociata contro il blue jeans: in molte scuole del paese e soprattutto in molte fabbriche se ne vieta l’uso. Il jeans, secondo voci del tempo, è considerato il simbolo del crimine, viene demonizzato dai giornali dell’epoca, sino a quando un bel giorno comparve in pubblico Gianni Agnelli, Presidente della Fiat, indossando un paio di jeans. Alla domanda di un cronista dell’epoca “Perché questo abbigliamento inusuale?” il patron della Fiat rispose: “Il jeans è un capo molto pratico da indossare, che dà un certo senso di libertà”. Alle parole di Agnelli fecero eco i provvedimenti di molti presidi e molti dirigenti d’azienda che accettarono di buon grado il jeans come abbigliamento quotidiano. Una piccola rivoluzione, portata avanti senza armi e senza clamore, che accomuna tante storie; una cosa è certa: mai fino ad oggi nessun tessuto era riuscito a diffondersi così in fretta e così globalmente come il denim.
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